Viso crasso” è l’anagramma di Vasco Rossi. Per metonimia (in senso lato o, se si preferisce, per sineddoche) viso è uomo, e poiché crasso significa inconfutabilmente grossolano, volgare, ancora una volta la locuzione latina nomen omen (nel nome il presagio, o il destino) si avvera, a danno di un “superbo mito” dei nostri tempi. Non si tratta di una gratuita offesa, ma di una calzante attribuzione, perché grossolanità, volgarità, sono nell’aspetto, nei movimenti, nella filosofia di vita e nei messaggi del “divino Blasco“.

Vasco Rossi ha fondato il suo successo con la scaltra sapienza di chi dà alla gente quello che la gente vuole,  di chi, per bieco opportunismo, lega l’asino dove pretende il padrone. Perciò Viso crasso non ha fatto altro che assecondare la facile insofferenza e la naturale contestazione dell’adolescente che cerca un’identificazione e si ribella alle regole abbracciando inconsapevolmente altre più diffuse regole, nel desiderio di affermare, magari anche in maniera distruttiva se non gli riesce in modo costruttivo, la propria autonomia. Lo stile della giovinezza è troppo spesso quello di morire di sabbia contrastando la sabbia; di avere l’impressione di contestare contestando quello che tutti contestano e spirando di spavalda contestazione nel conformismo generale, che reclama una vita di abitudini e di piacere “senza precetti”; di agitarsi appunto come il malcapitato nelle melme mobili, fatalmente sprofondando. Sicché il Vangelo di Vasco Rossi, inevitabilmente, si torce su se stesso, cantando nuove beatitudini che impallidiscono per banalità di fronte a quelle rivoluzionarie del “Discorso della Montagna”, mentre diventano letali per gli effetti che sortiscono, acqua bollente sulle ferite.

Il sig. Rossi non fa altro che sguazzare nella sofferenza indotta proprio dalla cultura dominante, che sostenendo la filosofia del godere a più non posso, dell’edonismo come fulcro dell’esistenza, strappa alla vita ogni suo senso facendone una corsa folle verso la morte, dove ti devi sballare per non ascoltare la tristezza che “come la neve cade in fondo al cuore” (e qui cito colui al quale Vasco non è degno di sciogliere i lacci [1]).

È sentire questa sofferenza nelle urla del “rocker”, questo cercare lo sballo come droga anche solo virtuale-psicologica (a volte reale, purtroppo), che attira masse di giovani.

Lo ammette lui stesso quando dice che scrive quasi sempre in momenti di sofferenza.

Lui ha la capacità di entrare nella sofferenza dei ragazzi, di “dare i brividi” coinvolgendo senza però dare alcuna risposta alla loro sofferenza.

Lui è parte attiva proprio del sistema a cui finge di ribellarsi.

Perché se i giovani trovassero il senso della propria vita, se gustassero il sapore della quotidianità vissuta (anche col sacrificio) per raggiungere obiettivi nobili e belli, le vendite dei suoi dischi crollerebbero”.

http://www.facebook.com/group.php?gid=94610032428

C’è di più.

La didattica del “Vasco da Grama[2], grande scopritore di mondi grami già scoperti, corrompe il corrotto fino alla necrosi. Pensare (e minimizzare) che le sue siano solo canzoni (ma sono proprio tutte davvero canzoni?) forse è pericoloso: in discoteca ho visto troppi ragazzi  in pieno “sballo” chiedere i brani di Vasco Rossi e finire per primi “gentilmente” estromessi dai buttafuori, qualcuno destinato magari a finire, più tardi, contro un platano, il ritornello della magnificata “vita piena di guai”… Certi messaggi sono istigazioni letali, sono compiaciuti incoraggiamenti a perdersi, a rinnegare i valori a favore di un disperato nichilismo.

Cento gocce di Valium per dormire del tutto / non sentire più niente, cancellare la mente / e domani mattina, domani mattina, / domani mattina … non svegliarsi neanche! / Poffff! (Vasco Rossi, Valium, 1981);  E se qualcuno la vuole menare / con quella vecchia storia sull’educazione… / abbiamo già bruciato tutti i libri … Bruciamo lui! Bruciamo anche lui! / I bambini dell’asilo non fanno più casino / sono rimasti molto pochi, dopo i fuochi! Dopo i fuochi! / Dopo i fuochi! Fuochi! Fuochi! / Fuochi! Fuochi! Fuochi! Fuochi! / Fuoco! Yeh! (Vasco Rossi, Asilo “Republic”, 1980)…

Naturalmente sono reperibili mille altri volgari esempi del genere nei testi osannati, e invece da censura, del genio di Zocca. Di fronte a tanto sconcio per una volta valgono i sublimi versi del “galattico rocker” (o rocchettaro): ci vuol qualcosa per tenersi a galla sopra questa merda / sopra questa merda (da Fegato, fegato spappolato).

Mozart novello! Chi per Lui delira

pensa che quella vena mai potrebbe

suonare il rock sulla divina lira,

mentre crede che Vasco scriverebbe,

ma dopo, il Requiem, non prima che spira,                                                                    5

e gli alti versi ancora griderebbe:

“Respiri piano per non far rumore…

perché non torni in vita quando muore!” …

Amato Maria Bernabei

Scarica e salva l’intera satira: Vasco Rossi, il cattivo profeta


 

[1] Lucio Battisti, Emozioni.

[2] Ironicamente ricalcato sul nome dell’esploratore portoghese Vasco da Gama (più conosciuto, ma erroneamente, come Vasco de Gama).

 ______________________________

 

VISITA IL SITO

______________________________

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *