La cultura del nostro tempo (almeno in Italia) sembra basata sull’insegnamento dei personaggi mediatici più in vista, che, a prescindere dalle loro specifiche competenze (quando queste siano presenti), si atteggiano a scrittori, poeti, filosofi, teologi, letterati, impartendo lezioni “inoppugnabili”. Si tratta di uno degli aspetti più inquietanti dell’egemonia dei mass media, non certo ultima causa del declino generale della società.

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Ci sono “prodotti del mercato”, personaggi, libri, film, canzonette e quanto possibile elencare in proposito, che diventano oggetto di venerazione (cult per chi non conosce l’italiano), non tanto per la loro buona qualità, che nella maggior parte dei casi non hanno, ma per il loro successo o per quello che rappresentano.

Valore simbolico a parte, si sa che il successo ha radici nel gusto della folla, che per sua natura risponde a strumenti di degustazione di livello mediocre. La massa esprime infatti uno scadente grado culturale, che il mercato non è certo interessato a “guarire”, e che anzi proficuamente utilizza, sfruttando la poco raffinata sensibilità dell’ignoranza (in senso stretto e lato), nella quale induce abbagli prepotenti di valore con i suoi fondi di magazzino. Accade così che i travisati concetti di cultura e di arte forniscano le più ampie risorse per l’inganno, i falsi mezzi di crescita della conoscenza e i decantati veicoli di elevazione spirituale.

Nascono in questo modo i Fabio Volo, o le pagine imbrattate da qualunque divo mediatico (più spesso da un prestapenna), strette dall’adesivo secondo i moderni procedimenti all’americana (perfect binding), e poi vendute in centinaia di migliaia di copie agli allocchi di turno: i libri-nonlibri dell’editoria moderna! Nascono così i fanfaroni che divulgano somaraggine dai palcoscenici, nelle vendute e credute vesti di dotti luminari; i film-nonfilm di registi improvvisati o di nessun talento; i mostri sacri della musica-nonmusica; le pitture macchia-tele, le sculture deformapietre e quanto di peggio si possa immaginare in ogni settore che si presti al lucro.

E nascono così le grandi frasi, i grandi pensieri, i grandi spezzoni audiovisivi che circolano in Rete nei punti d’incontro virtuali o nei comuni siti dai quali chiunque può sgrammaticare per contenuti vuoti e diffondere gli scarti delle bancarelle.

Chi ad esempio si chieda che cosa sia la felicità e come si possa conquistarla, oggi trova risposta immediata ed “elevata” su You Tube, la piattaforma di condivisione video (video sharing per chi non conosce l’italiano) che da un decennio imperversa nella Rete, strumento utile o insidioso, in relazione all’uso. Poiché Benigni sa e sa dire tutto, il suo minuto e mezzo d’imbonimento divinizzato riceve centinaia di migliaia di visite e viaggia poi su milioni di lettori portatili (per gli anglofili iPod, iPad, smartphone, tablet) e pare donare sollievo e speranza agl’infelici!

“La felicità… sì, la felicità. A proposito di felicità: cercatela, tutti i giorni, continuamente. Anzi, chiunque mi ascolti ora, si metta in cerca della felicità, ora, in questo momento stesso, perché è lì, ce l’avete, ce l’abbiamo, perché l’hanno data a tutti noi; ce l’hanno data in dono quando eravamo piccoli, ce l’hanno data in regalo, in dote, ed era un regalo così bello che l’abbiamo nascosto, come fanno i cani con l’osso, quando lo nascondono, e molti di noi l’hanno nascosto così bene che non si ricordano dove l’hanno messo, ma ce l’abbiamo, ce l’avete. Guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima, buttate tutto all’aria! I cassetti, i comodini che ci avete dentro: vedete che esce fuori! C’è la felicità. Provate a voltarvi di scatto, magari la pigliate di sorpresa, ma è lì. Dobbiamo pensarci sempre alla felicità, e anche se lei qualche volta si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei, fino all’ultimo giorno della nostra vita”. (Roberto Benigni, I Dieci Comandamenti)
https://www.youtube.com/watch?v=JvSuM90o8ds

La felicità…
Nel parlar comune è ammesso dire di essere felici quando si vive uno stato di euforia, di contentezza, o ci si sente appagati, ma quando si arringano le folle o si disquisisce filosoficamente, sarebbe opportuno pensare al senso dell’oggetto trattato e di quello che si afferma.

La felicità…
Pochi pensano all’assoluta astrazione del concetto, al fatto che all’uomo non è concessa né l’esperienza della felicità né del suo opposto, se non come sogno o come incubo: perché felicità ed infelicità sono degli assoluti negati alla vicenda umana immanente e riservati ad una trascendenza sperata, ma non certa, né tanto meno dimostrabile. L’uomo può solo essere temporaneamente contento, allegro, soddisfatto, gioioso, euforico, mai felice, perché non gli è possibile vivere la compiuta e perenne condizione di ogni appagamento, come è impossibile ch’egli viva uno stato incessante di totale inappagamento, al punto che io escluderei, per i due termini in questione, ogni variante sinonimica.

È vuoto, falso, teso al consenso, se non al profitto materiale, ciarlare per il pubblico estasiato, annunciando il dono che da bambini sarebbe stato dato a ciascuno e che da taluni sarebbe stato nascosto come fa il cane con l’osso, magari dimenticando poi il nascondiglio! Sciocca e perfino insensata l’esortazione a cercare quel dono nei cassetti dell’anima, con metafore che nel contesto sanno di poeticismi patetici, di induzione alla facile commozione ed alla fede ingenua. Milioni di uomini, sulla terra, che quotidianamente vivono in condizioni estreme d’indigenza, muoiono di fame, sono afflitti dalle guerre e dalle persecuzioni, perdono i familiari più cari, fuggono dalle terre natali, sono colpiti da malattie mortali, in quali comodini potranno mai rovistare per vedere “uscire” la felicità che “è lì, ce l’avete, ce l’abbiamo”?… Fortunati loro se riusciranno ad afferrare qualche briciola di serenità!

Le cose vanno sinceramente proposte, non deformate, piegate ai propri intenti.

Si dica piuttosto all’uomo che può imparare a vivere nel migliore dei modi possibili, evitando l’aspirazione a mutare l’immodificabile, a pretendere l’impossibile; adeguando le proprie risorse a ciò che della realtà non si può cambiare, in modo mai passivo, se pure non incline a rabbioso accanimento; cercando in ogni circostanza di agire con forza d’animo; cogliendo, quando è possibile, i sorrisi della vita; reggendo con coraggio all’urto delle avversità. In ogni caso, sforzandosi sempre di comprendere, delle esperienze che l’esistenza gli riserva, il senso che più giova allo spirito.

Amato Maria Bernabei


Sul concetto di “felicità” leggi e su “I Dieci Comandamenti” di Benigni leggi

Non trascurare il contributo di Francesco Mercadante

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