riflessioni su un’ennesima lotta per la libertà

La Storia è maestra di vita, ma l’uomo è un pessimo allievo. Gheddafi incarna il discepolo che dalla Storia poco ha appreso, o forse troppo, nel senso di averla voluta fedelmente ripetere. Ha poco appreso perché non ha imparato a valutare i rischi dell’esercizio dispotico del potere, o se li ha considerati, li ha tenuti in dispregio, preferendo accogliere, in cambio dell’azzardo, la prospettiva di quasi mezzo secolo di strapotere.  

 

Dal colpo di stato che portò alla caduta del re Idris, il 1° Settembre 1969, Muʿammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī (معمر القذافي) che l’Italia conosce come Gheddafi, è il “sàtrapo” di Libia, una maschera di antico dittatore, dal volto duro e segnato, lo sguardo torvo, socchiuso fra ptosi di palpebre e borse tumefatte, abiti che ostentano titolo, potere e ricchezza. 

Ripeto spesso che la Storia è maestra di vita, ma l’uomo è un pessimo allievo. Gheddafi incarna il discepolo che dalla Storia poco ha appreso, o forse troppo, nel senso di averla voluta fedelmente ripetere. Ha poco appreso perché non ha imparato a valutare i rischi dell’esercizio dispotico del potere, o se li ha considerati, li ha tenuti in dispregio, preferendo accogliere, in cambio dell’azzardo, la prospettiva di quasi mezzo secolo di strapotere, sdegnando la sorte di milioni di sudditi, legata al suo delirio. 

Nato nel 1942 nella Provincia “italiana” di Misurata, di discendenza forse ebraico-musulmana, educato alle idee panarabe di Gamal Abd El-Nasser nella scuola coranica di Sirte, all’età di 26 anni Gheddafi si iscrisse all’Accademia militare di Bengasi e all’età di 27 era capitano dell’esercito. Nello stesso anno si trovò a capo della rivolta che esautorò Idris I, ed essendo stato eletto nel frattempo Colonnello, divenne il dittatore incontrastato della Libia. La storia del suo governo non rientra negli obiettivi di questa scheda [1]

Alla fine di Gennaio del 2011 il sito americano The Daily Best, sulla base delle indiscrezioni pubblicate da Wikileaks nelle settimane precedenti, annunciava che dopo Egitto e Tunisia era probabile che anche la Libia divenisse teatro di una grave crisi politica: “Gheddafi ha creato una dinastia familiare, decadente, avida di denaro, che potrebbe essere l’obbiettivo ideale di una prossima rivoluzione araba nelle strade del Paese” [2].  Puntualmente, un mese dopo, i Libici sono insorti contro la dittatura di Gheddafi.

Le peggiorate condizioni di vita, dovute soprattutto alla crisi economica mondiale, ma anche l’incapacità di troppi despoti arabi di rinnovare la loro politica (cosa avvenuta ad esempio in Siria e in Marocco), insieme con la crescente insofferenza delle popolazioni nei confronti di regimi autoritari sempre più dispotici, capricciosi e corrotti, hanno acceso in molti Paesi musulmani un vento di ribellione. La religio instrumentum regni, di machiavelliana memoria [3], che tiene soggette le moltitudini con “misteriosi timori” [4] non basta più a soggiogare le folle, per le quali (come per tutte le masse) più che le aspettative celesti conta almeno il panem in mancanza dei circenses [5]: i quali, anziché essere concessi al popolo per sedarne il malcontento, in Libia erano allestiti per la famiglia del rais, a suon di milioni (a Capodanno del 2010 i Gheddafi avrebbero sperperato un milione di dollari solo perché la famosissima cantante Beyoncè intervenisse alla loro festa). Il progressivo aumento dei prezzi dei generi alimentari è stato perciò determinante per lo scatenarsi della sommossa, agendo come una miccia. Eppure il mondo arabo attraversa un periodo di crescita, più che di stagnazione: il fatto è che “le rivoluzioni non nascono mai dalla miseria assoluta, ma in periodi di cambiamento e di sviluppo diseguale che rendono ancora più stridenti le ingiustizie” [6]. Incombeva infine sul dittatore libico anche la legge dei grandi numeri, essendo egli il più longevo autocrate al mondo, quando si sa che non lunghissima, in media, è la vita delle tirannidi. 

Sta di fatto che anche il Dio Gheddafi è caduto dall’Olimpo, per quanto lanci ancora boati e lapilli come un vulcano dopo un’eruzione e prima della successiva, resuscitando perfino “un’attribuzione” che sembrava esclusivo appannaggio delle biblioteche e dei musei: l’état c’est moi, la Libia sono io! Provate a strappare la carne a un leone… tenterà di sbranarvi, come il vessatore libico ruggisce contro l’universo urli e minacce e fa crepitare sulla terra raffiche di proiettili sulla folla manifestante, non risparmiando nemmeno i cortei funebri. Circa seimila morti, finora, ma le cifre, si sa, dipendono dalle fonti e dalle variabili del caos: le fonti che quando sono complici minimizzano, se sono avverse ingigantiscono, o sono capaci di affermare contemporaneamente che è tornata la calma o che continua lo sterminio; il caos che mischia gli eventi e sovrappone le voci, rendendo indecifrabile una realtà in subbuglio. Intanto si srotola il film già visto degli “squadroni della morte”, delle vendette, delle torture, delle stragi, di tutti gli ingredienti che fanno amara ogni lotta per i diritti e per la libertà. 

L’Occidente, dapprima latitante ed ambiguo per non sbagliare le mosse, muove poi la solidarietà e si dichiara pronto (quello americano) “ad ogni soluzione”, sempre nelle vesti del sacerdote che benedice e che soccorre; ma ci sono anche gli smaliziati che riconoscono palcoscenici e recitanti: in realtà sono principalmente gli interessi che muovono le azioni degli uomini, almeno di quelli di potere, quasi sempre sostenuti e velati, in buona fede, da una scia di anime pie che partecipano alle operazioni umanitarie per alleviare le altrui sofferenze, e magari candidamente parteggiano per l’uso della forza che ponga fine ai massacri: l’illusione, anch’essa pia, della guerra per giusti fini. 

Paura dell'”esodo biblico”, dello shock petrolifero, prestiti, interessi finanziari, importazioni-esportazioni, commesse, lavori intrapresi, materie prime (e ultime) e si aggiunga ogni altra specie di componente economica, sono, senza gratuite retoriche, le ragioni che spingono Barack… e burattini (absit iniuria) a promuovere interventi di ogni tipo, molto più che le sorti della povera gente e gli alti princìpi filantropici, per i quali si afferma che bisogna “stare dalla parte giusta della storia, con la democrazia e la libertà, ma non dare l’impressione che si cerchi di manipolare gli eventi”…  [7]. Io ho sempre l’impressione che si parli per frasi rovesciate! Voglio dire che la verità, anche in questo caso, è che si cerca di manipolare gli eventi più che stare dalla parte giusta della storia. 

Gli esiti della rivoluzione araba contro le monarchie medievali che sopravvivono alla storia sono imprevedibili, “aperti ad ogni risultato”, come direbbe un cronista di calcio: alla guerra civile quanto alla resa del prepotente avversato, alla sostituzione di un dispotismo con un altro, quanto alla democrazia, alla frammentazione politica dei territori in rivolta quanto alla svolta fondamentalista, che, come in Iran dopo il governo dello Scià, potrebbe far seguito a un periodo di transizione. 

L’augurio è che la piena trovi lo sbocco migliore per le popolazioni oppresse e per l’umanità. 

Amato Maria Bernabei 

Riportiamo un articolo di Federico Rampini, nella parte che può essere interessante per concludere questa scheda, escludendo le consuete, inevitabili chiose da rotocalco riferite alla “politica interna” italiana. Scheda che non ha voluto certamente essere un’analisi esaustiva dell’argomento trattato, ma semplicemente ha inteso offrire qualche stimolo alla riflessione, lontano dagli adescamenti demagogici.  

5 domande e risposte sulla rivoluzione araba e noi 

                                                                    di Federico Rampini 

1) Washington si aspettava che la rivolta in Nord Africa si estendesse così rapidamente e portasse alla caduta di regimi considerati inamovibili? è un risultato della dottrina Obama, espressa così efficacemente due anni fa con il discorso del Cairo? Risposta: nessuno può dire di avere previsto quello che sta accadendo, nella sua ampiezza e nella sua rapidità. In America la Cia è stata criticata per avere ignorato la fragilità dei regimi alleati (a sua discolpa qualcuno ha ricordato che gli eventi di questo ultimo mese hanno spiazzato completamente anche gli israeliani e il loro mitico servizio segreto Mossad, che in quell’area dovrebbe avere antenne ancora più sensibili). E’ giusto però ricordare che il discorso di Obama all’università del Cairo nella primavera del 2009 lanciò dei messaggi importanti alla gioventù del mondo arabo, seminò i germi di una nuova èra di rapporti tra l’Occidente e l’Islam, quindi fu senza dubbio un fattore di “contagio della libertà”. 

2) Protagonisti della rivoluzione sono stati ovunque giovani acculturati, con una formazione cosmopolita e di ispirazione occidentale. (es. Università Americana del Cairo). A posteriori qual è l’analisi di questa rivolta?
se davvero è stata spontanea e imprevedibile a cosa è dovuta? cosa ci dice che non sapevamo?
Risposta. Importante detonatore economico della rivolta: l’aumento dei prezzi delle materie prime (derrate alimentari) all’origine delle proteste di gennaio in Tunisia e Algeria. Va sottolineato inoltre che questa rivolta viene dopo un periodo di crescita, non di stagnazione del mondo arabo. Le rivoluzioni non nascono mai dalla miseria assoluta, ma in periodi di cambiamento e di sviluppo diseguale che rendono ancora più stridenti le ingiustizie. La gioventù tunisina ed egiziana protagonista della protesta è molto più evoluta ed istruita della generazione dei suoi genitori, però ha scarse prospettive e un’alta disoccupazione. 

3) Mubarak, Ben Ali, negli ultimissimi anni anche Gheddafi: dittatori che avevano un buon rapporto con Washington perchè garantivano la stabilità nell’area, rispetto al rischio di un’avanzata islamista. Che succede adesso? Quali sono ora gli scenari diplomatici, politici ed anche economici che si aprono? a chi conviene la caduta dei rais? Risposta. L’America e l’Europa pagano il fatto di avere sempre privilegiato il business petrolifero e chi garantiva la stabilità degli approvvigionamenti, chiudendo tutt’e due gli occhi sui diritti umani e la democrazia. Per fortuna in nessuno di quei paesi finora la rivoluzione è stata iniziata o diretta dai fondamentalisti islamici. Tuttavia anche nel 1979 in Iran gli islamici arrivarono quando fallì un’opzione “liberale” dopo la dittatura dello Scià. Ora gli scenari sono ancora completamente aperti, tutto è ancora possibile: regimi militari, egemonia islamica, o vere democrazie. Idem per gli scenari economici: il ventaglio è apertissimo, dalla minaccia di un nuovo choc petrolifero alla possibilità di un’èra di sviluppo del mondo arabo che ne farebbe una “nuova Cina” affacciata sul Mare nostrum. Perciò è fondamentale che ci sia da parte dell’Occidente una visione lungimirante e un appoggio alle forze più sane e moderne. Quello che ci fu nel 1989 dopo la caduta del Muro di Berlino. E’ tanto più grave la latitanza dell’Unione europea, e al suo interno dell’Italia che è il Paese dalla vocazione storica più proiettata nel Mediterraneo… 

http://www.giornalettismo.com/archives/111668/gheddafi-e-il-prossimo-secondo-wikileaks/ 

Apri e salva: Gheddafi


[1] Chi comunque avesse interesse a conoscerla consulti 

http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/gheddafi.htm

oppure  http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=2358&biografia=Muammar+Gheddafi

[2] Valutazioni di osservazioni locali citate in un cable di Wikileaks scritto da Gene A. Cretz. http://www.giornalettismo.com/archives/111668/gheddafi-e-il-prossimo-secondo-wikileaks/ 

[3] “Debbono adunque i príncipi d’una republica o d’uno regno, i fondamenti della religione che loro tengono, mantenergli; e fatto questo, sarà loro facil cosa mantenere la loro repubblica religiosa, e per conseguente buona e unita” (Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, cap. XII. Consulta anche F. Chabod, Scritti su Machiavelli, Einaudi, Torino 1964, pp. 80-81. 

[4] Polibio, Storie, VI, 56. 

[5] Giovenale, Satire, 10, 81. 

[6] “5 domande e risposte sulla rivoluzione araba”: 

http://www.giornalettismo.com/archives/111668/gheddafi-e-il-prossimo-secondo-wikileaks/ 

[7] http://rampini.blogautore.repubblica.it/category/america-e-medio-oriente/.

One thought on “Gheddafi: La Libia sono io

  1. Ciao quale miglior modo di festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia ripercorrendo le tappe degli ultimi anni che hanno visto un Mazziniano di nome Pietro Molinari, un genovese come Mazzini che fece l’Italia con i motti carbonari e diede alla luce la prima costituzione quella della repubblica romana. La nostra Carta costituzionale Italiana ha avuto dei grandi mentori nel passato in Eroi come Garibaldi, Mazzini e Cavour i primi che capirono che il popolo italianoaveva bisogno di una Costituzione sua. Avevano capito che l’Italia era troppo frammentata e divisa e questa era la sua debolezza. Oggi a 150 anni di distanza l’italia di cosa ha bisogno? Di giustizia? Di Eguaglianza? Di Lavoro? Quello che è certo e che se tutti iniziassero a osservare la Costituzione della Repubblica le cose in Italia andrebbero meglio.

    Girando in rete ho trovato dei video interessanti su di un Mazziniano che difende la Costituzione dalle violazioni, e per il fatto che desiderava che fosse osservata dai politici è stato deriso e gli hanno fatto il TSO. Roba da repubblica delle banane. Il suo nome e Pietro Molinari e se vuoi conoscere meglio la sua storia visita i link che ti segnalo ok? Buona Navigazione:
    http://www.facebook.com/pages/Pietro-Molinari/50614660743
    http://www.youtube.com/watch?v=yQfvsrnYHsA
    http://www.youtube.com/watch?v=mwIy72VA__Q
    http://www.ammazzatecitutti.org/forum/index.php?showtopic=5348

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