Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, nisi ipse intellectus [1]. Senza voler essere categoricamente empiristi ed escludere “la conoscenza ante rem“, l’esperienza sensibile appare preminente nel percorso conoscitivo. Infinite sono tuttavia le combinazioni esperienziali, infiniti i filtri, infiniti, anche per sole sfumature, i recettori. Sicché non c’è singolo umano universo, o mondo individuale di affetti e di emozioni, che possa replicarsi. Cionondimeno, affini sono in ciascuno le note distintive del genere, condizione imprescindibile per comunicare, condividere, divergere. La poesia è una forma individuale di conoscenza, di elaborazione della medesima e di espressione, comunicabile, e tanto più “universale” quanto più vicina al sentire che accomuna e all’indefinibile categoria del bello. Quello che Sandro Bernabei esprime è frutto del suo irripetibile esperire e del suo singolare “invenire”, momenti inseparabili e distinti di un tragitto artistico che si risolve in forme coerenti ed accessibili, godibili per chi voglia disporsi ad “ascoltare”, per chi magari intenda confrontare la propria visuale con quella che emerge dalle pagine del suo florilegio. Scorcio di una vicenda sofferta di “notti improvvise” raccolte “in urne di puro cristallo”, metafora di un tormento da cui l’anima spicca il volo verso il rasserenante “orizzonte dell’albatros”, liberando ricchezze da “granai colmi di parole”. II “passo smarrito che piange” o “il nulla improvviso”, il “vivere spento, / arido di sogni” o “la tempesta di vivere”, possono aprirsi a “sottili gemme d’orchestra”, a “trasparenze… azzurre di eterno”, a lampare che “improvvisano incantesimi”, a una voce “fresca di greggi / di rocce”, a “un canto nuovo… / integro di azzurro”, a un’”ebbrezza di nevi inviolate”, a “quel sorriso / che accende il volo della sera”, a un “credere infantile / che torna” , allo “spazio che taglia l’oceano”, ai “giardini del tempo”… per le “pianure dell’anima, / leggere di rugiada”, per “pagine mai scritte, / vive / di un respiro interiore, / smisurato”, per cercare in una tensione incessante verso la conoscenza, “il mare che ancora non sai”. Lo stile asseconda l’ispirazione, in un linguaggio figurato che nascondendo suggerisce, che schermendosi invita, secondo quella evocativa e suggestiva poetica della vaghezza che ha distinto tante pagine della poesia, anche più alta, dell’Ottocento e del Novecento. Amato Maria Bernabei