di Enzo Ramazzina

L’epigramma è un breve, a volte lapidario, componimento poetico, di carattere arguto e d’intonazione satirica o polemica,
il quale riporta quasi sempre un messaggio sentenzioso o un motto.

I suoi versi, generalmente a rima baciata, o alternata, possono essere brevi, o lunghi, e riunirsi in distici, in terzine, in quartine; ma, in linea di massima, formano dei polimetri, senza schemi strofici precisi.

            Nella letteratura moderna, dopo le raffinate esercitazioni imitatorie degli umanisti, l’epi­gramma si adattò allo stile concettoso e metaforico dei poeti barocchi, mentre, dal XVIII secolo in poi, riprese la sua funzione di polemica personale, o di satira socio-politica.

            Scrissero celebri iscrizioni encomiastiche o dedicatorie, in forma di poesia, Poliziano, Sannazaro, Alamanni, Pananti, Foscolo, Monti, Manzoni, Giusti, Fortini e Pasolini. Ma gli epigrammi più pungenti e dissacratori uscirono dalla penna di Vittorio Alfieri, come si evince dagli esempi riportati di seguito:

                        Sia pace ai frati,
                        purché sfratati:
                        e pace ai preti,
                        ma pochi e queti:
                        cardinalume
                        non tolga lume:
                        il maggior prete
                        torni alla rete:
                        leggi e non re:
                        l’Italia c’è

                        ———-

                        Dare e tôr quel che che non s’ha,
                        è una nuova abilità.
                        Chi dà fama?
                        I giornalisti.
                        Chi diffama?
                        I giornalisti.
                        Chi s’infama?
                        I giornalisti.
                        Ma chi sfama
                        i giornalisti?
                        Gli oziosi, ignoranti, invidi, tristi

                        ———- 

                        L’uom che in un sol sonetto
                        ha un po’ di me mal detto,
                        io crederò che amico ognor mi sia
                        fin ch’ei scrive tragedie in lode mia

                        ———-

                        Biasimando laudate;
                        laudando biasimate;
                        parlando tacete;
                        tacendo tacete;
                        ma non campate

                        ———-

                        Molti siete; i’ son uno
                        ma in ogni cosa sì diversi noi,
                        che quando voi sarete affatto niuno,
                        io sarò pur Qualcuno.
                        Potete, or dunque, o masnadieri eroi,
                        rompermi sì, ma non piegar me voi.                       

              Come accennato più sopra, anche Alessandro Manzoni ebbe a scrivere alcuni epigrammi taglienti, che fecero testo. Ne trascriviamo qui sotto alcuni, a mo’ d’esempio:

                        Vino non c’è cui non bisogni frasca,
                        autor che non annunzia non intasca

                       ———- 

                        Al dir del Monti, Mascheron che muore,
                        è fiamma, pesce, augello, anima e fiore

                       ———- 

                        Conte Giovio tanto visse
                        ch’ai suoi versi sopravvisse

                       ———- 

                        Manzon qui giace ne’ suoi versi involto,
                        veramente accademico sepolto.
                        Manzon tra i dotti di Volterra accolto
                        prima che morto, giace ivi sepolto

                       ———-

                        Lunge le insegne araldiche
                        e i titoli sonanti!
                        All’ossa che qui giacciono
                        un nome, e nulla più,
                        Bubna! Il remoto postero
                        a questo nome avanti
                        fermerà il passo, e, attonito,
                        domanderà: Chi fu?
                       (sull’epigrafe del generale Bubna)

              Altro maestro insuperabile nel creare epigrammi fu Giuseppe Giusti, già autore di celebri satire:

                       Il buon senso, che già fu capo-scuola,
                        ora in parecchie scuole è morto affatto;
                        la sicurezza, sua figliuola,
                        l’uccise per veder com’era fatto

                        ———-

                        Gino mio, l’ingegno umano
                        partorì cose stupende
                        quando l’uomo ebbe tra mano
                        meno libri e più faccende

                        ———-

                        Il fare un libro è meno che nïente,
                        se il libro fatto non rifà la gente

                        ———-

                        Chi fe’ calare i Barbari tra noi?
                        Sempre gli Eunuchi da Narsete in poi 

              E infine, un esempio di epigramma di Filippo Pananti (prima metà del 1800):

                        Disse Cloe: “Quanti affanni
                        mi dà l’avvicinarmi ai quarant’anni!”
                        Ed io: “Non vi attristate,
                        anzi ogni giorno ve ne allontanate” 

              Famoso fu lo scambio di epigrammi tra il Foscolo e il Monti, dopo una lite dovuta al fatto che quest’ultimo aveva completato con successo la versione in endecasillabi sciolti dell’Iliade, mentre Foscolo, essendosi cimentato nella stessa impresa, era appena riuscito ad abbozzarla. L’autore dei Sepolcri, con una punta d’invidia, derise Monti per aver tradotto il capolavoro omerico senza conoscere il greco, attingendo da altre traduzioni poetiche e prosastiche, in particolare dall’opera in latino del Cesarotti, e pubblicò il seguente distico:

                        Questi è il Monti, poeta e cavaliero,
                        gran traduttor dei traduttor d’Omero

              Ma il Monti, che con l’amico Ugo aveva, tra l’altro, una vecchia ruggine per motivi d’onore (Foscolo s’era invaghito, senza fortuna, della moglie di lui, la bellissima Teresa Pikler), gli rispose con questo epigramma feroce:

                        Questi è il rosso di pel Foscolo detto
                        sì falso che falsò fino se stesso,
                        quando in Ugo cangiò ser Niccoletto;
                        guarda la borsa se ti vien dappresso!           

              Il cantore della Bassvilliana si riferiva, ovviamente, al fatto che il Foscolo era rosso di capelli e che il suo vero nome era Niccolò, e non Ugo, come risultava dai registri anagrafici e di Stato Civile.

              Un’altra quartina del Monti metteva in ridicolo la tragedia “Aiace” del Foscolo, rappre­sentata a Milano con scarso successo, e suonava così:

                        Per porre in scena il furibondo Ajace,
                        il fiero Atride e l’Itaco fallace,
                        gran fatica Ugo Foscolo non fe’:
                        copiò se stesso e si divise in tre 

              Oggi l’epigramma ha conservato il tono e il carattere di arguzia ironica e mordace e non va confuso con il genere dell’epigrafe o dell’epitaffio, di cui Pietro Giordani, nella prima metà del­l’800, fu il massimo esponente.

Enzo Ramazzina
da “La Nuova Tribuna Letteraria” (n. 113, primo semestre 2014)

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