dal poema polemico-satirico “L’infinito piatto”

I detentori del ben difeso e vergognoso potere non hanno più (ma hanno mai avuto?) ritegno né vergogna, e pur di detenere e conservare i loro privilegi e la possibilità di continuare a concedere i loro sporchi favori, venderebbero il rotondo fondoschiena.

  

Quell’Umberto ch’è ninfa ed è Narciso
e stranamente stecca di Latino
nel prefare il dantista più impreciso,
o chiude in un accento sibillino,
in cui l’amico è forse un po’ deriso,                                            5
un sarcasmo voluto e sopraffino,
parla di “honoris causae” e l’ablativo
trasforma in imprevisto appositivo… [1]

Che fosse in preda al fumo o fosse arguto,
quello che preme al verso è un altro caso                                 10
che si chiede del titolo venduto,
non per il prezzo del diploma evaso,
ma per l’eco proficua e il contributo
che versa nuova linfa nell’invaso.
Ma non c’è abuso che non abbia un costo                                15
e non porti con sé un versante opposto. [2]

Che immagine propone chi elargisce
per tornaconto un titolo infondato?
chi assegna ad un maiale che grugnisce
di una scuola di canto l’attestato?                                              20
Perché avviene così se riverisce
l’asineria qualunque dottorato,
se incorona di carta un luminare
che non sa di che leggere e parlare. [3]

Dottori come Rossi Valentino,                                                   25
come il Blasco, la Spagna e la Docenza,
hanno più della burla e di Arlecchino
che della giusta palma alla sapienza.
Che filosofo mai sarà un destino
che bazzica fra i salti e l’insipienza?                                          30
Ma basti lo psicologo Benigni
come esempio dei mali più maligni! [4]

Forse il più grave aspetto dell’affare
è l’impudenza che l’alloro accetta
e ostenta come fosse regolare.                                                  35
Non minore il discredito che getta
l’onor vuoto sul lauro da vantare,
tanto più che chi studia non fa incetta.
Per prima è la decenza del Sapere
che soccombe al vantaggio del potere. [5]                               40

All’Unical che onora l’alto vate
che spiega Dante, eppur non lo comprende,
scrive una mano righe esasperate
perché l’assegnazione non intende
alle contorte ciarle rabberciate                                                   45
per cui Cosenza il suo decoro vende.
Né il Professor Perrelli né Latorre
vollero mai la replica disporre. [6]

Insegna la novella che i Signori
del tutelato e “nobile” potere                                                       50
non hanno più contegni né rossori
e pur di conservare e detenere
i privilegi e i torbidi favori,
cederebbero il cerchio del sedere.
Non illuderti mai che l’immondizia                                             55
possa rendere un’integra delizia! [7]

 


[1] Quell’Umberto che porta il nome della ninfa che amò Narciso (Eco) e che contemporaneamente pare essere innamorato di sé (è ninfa ed è Narciso) e che si produce in uno strano errore grammaticale in lingua latina nella prefazione a Il mio Dante (prima edizione), del più scorretto interprete del sommo poeta (Benigni, il dantista più impreciso, per eufemismo), o volutamente racchiude in una forma sibillina un pungente e sopraffino sarcasmo attraverso il quale si prende gioco dell’amico, visto che allude alle di lui onorificenze parlando di Lauree honoris causae, dove “causae” ambiguamente sembra errore (sostituendo il corretto causā), ma vuol essere forse apposizione di Lauree (imprevisto appositivo) con cui il prefatore ci direbbe che i titoli che vengono conferiti all’attore non sono per onorarlo (honoris causā, complemento di fine), ma producono l’onore (honoris causae, cause di onore).
[2] Che Umberto Eco fosse in uno stato di ebbrezza (in preda al fumo, nei fumi dell’alcol) o volesse fare esercizio di arguzia, alla satira preme evidenziare un altro problema: quello del commercio dei titoli. Non si tratta del costo in denaro del diploma attribuito (del diploma evaso) quanto del valore di mercato di un’assegnazione fatta ad un personaggio mediatico, che, per risonanza, ha ritorni in termini d’immagine e di denaro (ma per l’eco proficua e il contributo / che versa nuova linfa nell’invaso: con riferimento al ricavo in termini economici che rinsangua le casse). Il fenomeno è chiaramente una distorsione, un abuso che ha un deplorevole rovescio di medaglia, porta con sé un negativo versante opposto.
[3] Che immagine può dare di sé chi conferisce per puro tornaconto un titolo onorifico senza fondamento? chi assegna ad un maiale che grugnisce un diploma di canto? Perché è proprio quello che avviene quando un dottorato riverisce / l’asineria, premia con una carta onorifica “un luminare” analfabeta, almeno nella specifica materia di riferimento (che non sa di che leggere e parlare).
[4] Conferimenti come quelli elargiti al motociclista Valentino Rossi, al cantante rock Vasco Rossi, alla cantante Ivana Spagna e alla Docenza, al cosiddetto dantista “professor” Roberto Benigni (nove titoli!), sanno più di arlecchinata, di buffonata, che di giusto premio per meriti culturali. Che tipo di filosofo sarà mai chi per sorte vive di scempiaggine e di salti giullareschi? Come può essere conferita, insomma, una laurea in filosofia a un Benigni? Forse però l’esempio più eclatante dei mali più maligni, delle “malattie” più nocive è la Laurea honoris causā in Psicologia, conferita al saltimbanco toscano nel 2003 dall’Università del San Raffaele di Milano. Qualcuno dovrà pur dirci che relazione possa esserci fra Benigni e la Filosofia o la Psicologia e che conoscenze egli abbia delle due discipline!
[5] L’aspetto più grave del problema (affare anche nel senso di operazione economica, di “business”, come si suol dire) è forse la mancanza di ritegno dei “laureandi” che accetta il conferimento come fosse una cosa del tutto naturale, addirittura ostentandolo nell’atteggiamento. Non meno grave è il discredito che i vuoti titoli “regalati” (l’onor vuoto) gettano sul valore dei titoli che costituiscono un vanto legittimo per chi regolarmente e degnamente li consegue (sul lauro da vantare; il lauro, o alloro, è il simbolo del titolo conseguito), tanto più che chi studia con impegno per il dottorato non può far incetta di lauree, come Benigni, ad esempio, cui ne sono state concesse addirittura nove! Purtroppo prima di tutto (non tanto cronologicamente, quanto moralmente) è la dignità degli illustri docenti universitari (la decenza del Sapere) a soccombere, a prostituirsi agli interessi del potere economico.
[6] Viene indirizzata una lettera di protesta (righe esasperate, piene di urtato risentimento) all’Unical, che nel 2011 conferisce a Benigni, che va “spiegando” Dante senza capirlo, la Laurea honoris causā in Filologia Moderna. Chi scrive non comprende (non intende) come, in presenza di contorte e confuse chiacchiere  raffazzonate (e in assenza di qualunque rigore filologico e di qualunque adeguata competenza letteraria specifica), l’Università di Cosenza possa vendere il proprio decoro assegnando un riconoscimento del genere. Né il Chiarissimo Professore Raffaele Perrelli. Preside della Facoltà di Lettere, né il Magnifico Rettore Professor Giovanni Latorre, disposero mai di replicare, di rispondere alla lettera.
[7] L’aneddoto insegna che i detentori del ben difeso e vergognoso potere non hanno più (ma hanno mai avuto?) ritegno né vergogna e che pur di detenere e conservare (nel verso con inversione logica, per esigenza metrica) i loro privilegi e la possibilità di continuare a concedere i loro sporchi favori, venderebbero il rotondo fondoschiena.  Nessuno vagheggi illusioni: l’immondizia non restituirà mai intatta una delizia!

 

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