Il più grande divulgatore d’ignoranza, per notorietà, per ascendente sulla massa, per capacità istrioniche, ma soprattutto per essersi presentato, ed essere presentato, al grosso (se non al ‘grossolano’…) pubblico come grande dantista, è senza dubbio, Roberto Benigni. Io mi sono dedicato alla stesura di un ampio saggio sul “sommo esegeta”, dimostrando con un fitto apparato documentale la profonda incompetenza del comico in un ruolo del genere.       

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Apri e salva: La divulgazione dell’ignoranza 03 Roberto Benigni       

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GR1, 8 Marzo 2006, ore 13,20 circa: “…per la scrittrice brasiliana che ha un modo di scrivere molto onomatopeutico, è chiaro che col Brasiliano si sentono tutti i suoni della foresta e in Italiano diventa più difficile” (Franca Coen, Assessore alle Politiche della Multietnicità del Comune di Roma, prefatrice dell’antologia di racconti Allattati dalla Lupa, intervistata da Giorgio Zanchini). Imparate, allievi di tutta Italia: quando sarete interrogati sulla poesia del Pascoli L’assiuolo, non dite più che il “chiù” è un suono onomatopeico, ma “ONOMATOPEUTICO”!       

Se questa non è diffusione del non sapere…       

Il più grande divulgatore d’ignoranza, per notorietà, per ascendente sulla massa, per capacità istrioniche, ma soprattutto per essersi presentato, ed essere presentato, al grosso (se non al ‘grossolano’…) pubblico come grande dantista, è tuttavia, e senza dubbio, Roberto Benigni.       

Io mi sono dedicato alla stesura di un ampio saggio sul “sommo esegeta”, dimostrando con un fitto apparato documentale la profonda incompetenza del comico in un ruolo del genere; la “docenza” dell’istrione toscano risulta a mio parere assai dannosa, anche se più di qualcuno ha voluto stimarla meritoria iniziativa di divulgazione. Non potrebbe certo essere considerato meritevole chi andasse ravvivando l’interesse per la matematica insegnando che tre per tre fa cinque! Benigni fa questo: parafrasa in una lingua sconnessa e con pensieri confusi una Commedia che Dante non ha mai scritta, perfino deformandone i versi, che non sempre correttamente ricorda, e pretendendo per le sue scadenti, e non raramente triviali, performance, cifre più scandalose di quelle che percepiscono i calciatori. Del Saggio mi limiterò a riportare la scheda di presentazione, che trova spazio sulla rivista LettereArtiScienze, Volume 11 seconda serie 2010, pubblicata a Caserta e distribuita in Italia, Canada, Croazia, Francia, Austria, Venezuela.       

Il Saggio si compone di un canto “dantesco” introduttivo (“XXXV” dell’Inferno, dove il comico è punito come “traditore della cultura” con un fiero contrappasso: il Canto è presente in questo sito nelle pagine Archivi e Cultura); della trascrizione completa e puntuale, senza correzioni o edulcorazioni, della performance televisiva del 29 Novembre 2007, corredata da numerose annotazioni che evidenziano l’incompetenza e la trivialità del superpagato “critico” (260 Euro al secondo!); della completa “esegesi Benignesca” del V Canto dell’Inferno, anche questa ricca di postille impietose (un Cd con dettagliati documenti audio potrebbe accompagnare il trattato); di una breve sezione, dedicata alla “teologia” di Benigni, relativa al XXXIII Canto del Paradiso; dell’ampia documentazione, raccolta in Rete, del fanatismo mitizzante, seguita da un elenco di “voci controcorrente” (a partire da quella di Zeffirelli); di una nuova (e credo sorprendente) interpretazione del verso “amor ch’a nullo amato amar perdona”, che confuta quella tradizionale che da più di sette secoli offende (a mio avviso) l’intelligenza dell’Alighieri; dell’analisi della scadente capacità versificatoria di Benigni; di una satira conclusiva, in ottave (192 versi), in cui, con sarcasmo, si condannano l’operazione di mercato del novello Alighieri e la complicità di quanti lo assecondano, soprattutto della RAI, che ha sperperato 7.500.000 Euro per il ritorno in TV della Grande Cultura (2.500.000 Euro per la sola prima puntata di Tutto Dante)!       

Seguono la parte introduttiva del saggio e passi esemplificativi.       

Esergo 1       

«Il padre di un mio amico, brav’uomo che ha lavorato per una vita nei cantieri stradali  e non ha avuto tempo per istruirsi, è convinto che la Terra si avvia all’Apocalisse perchè c’è un “buco nell’azoto” causato dallo scioglimento dei ghiacci delle Dolimiti. Mi ha giurato di aver sentito dire dell’irreparabile strappo che angoscia guide alpine e umanità intera da Piero Angela» (Ernesto Siciliano)       

Nota introduttiva       

In una lettera a Giovanni Boccaccio, del 1359, Francesco Petrarca  spiega di avere abbandonato la poesia in volgare per non essere “maltrattato”, come è accaduto all’Alighieri, dal popolo ignorante ed ottuso: “…questi sciocchi lodatori i quali non sanno mai perché lodano né perché biasimano, e infliggendogli (si riferisce a Dante) la più grave ingiuria che si possa recare ai poeti sciupano e guastano, recitandoli, i suoi versi, del che io, se non fossi così occupato, farei clamorosa vendetta. Non posso invece se non lamentarmi e disgustarmi che il volto della sua poesia venga imbrattato e sputacchiato dalle loro bocche”.       

FACCIAMO SUBITO I CONTI…        

Dalle ricerche effettuate ci risulta (http://tuttobenigni.blogspot.com/2008/01/benigni-torna-in-prima-serata-su-rai.html; http://www.tvblog.it/post/5266/un-benigni-che-vale-oro) che Benigni ha incassato 2.500.000 euro per la prima serata di Tutto Dante del 29 Novembre 2007, in diretta su Rai Uno, e 5.000.000 per le tredici puntate successive, registrate e, per di più, “relegate” in seconda serata (l’elenco è nel sito della Rai, alla pagina      

www.tuttodante.rai.it/category/0,1067207,1067130-1076032,00.html).      

Noi non abbiamo avuto “stomaco” per seguire in televisione Tutto Dante (a parte che la tv – e non lo diciamo per snobismo -, l’abbiamo spenta da tempo…), sicché, se si esclude la prima serata, manchiamo di esperienza diretta “televisiva”.      

La durata del primo spettacolo fu di circa due ore e quaranta (160 minuti, per eccesso), la durata delle tredici registrazioni di un’ora e un quarto ciascuna (75 minuti, calcolo medio, forse per eccesso): consulta       

http://tvandtv.splinder.com/post/15933823/TuttoDante+con+Benigni%2C+quanto.       

Vediamo quanto ha preteso l’illustre Professor Benigni per la sua performance:       

29 Novembre 2007: 2.500.000 Euro (quasi 5.000.000.000, cinque miliardi delle vecchie lire):       

15625 Euro al minuto! (più di 30.000.000 di lire ogni sessanta secondi)       

260 Euro al secondo! (quasi mezzo milione di lire, 50.000 lire ogni decimo di secondo)       

13 puntate registrate restanti (restante Benigni comodamente seduto a casa): 5.000.000 di Euro (più di 9.500.000.000, nove miliardi e mezzo delle vecchie lire)       

384.615 Euro a puntata (circa 745.000.000 di lire)       

5128 Euro al minuto (circa 10.000.000 di lire)       

85,5 Euro al secondo (più di 165.000 lire).       

        

Incasso totale: 7.500.000 Euro (14.522.025.000 di lire) per circa 19 ore di prestazione (16 delle quali “virtuali”, cioè registrate): altro che i calciatori! (David Beckham, il più pagato, impiega 4 mesi per incassare la stessa somma       

http://www.publiweb.com/service/beckham_ricco.html)       

Per quale spettacolo?…      

Può darsi pure che all’origine tutti gli uomini avessero tre o quattro piselli, no?       

E per quale tenore culturale?!…       

Vede queste due che abbracciati vola e lui gli interessa queste due anime;      

“Mentre leggevano e ci fu il bascio nel libro,      

sciò che accadeva nel libro, Paolo gli cade il libro…”        

Che ne pensa l’operaio che ha applaudito il comico? Operaio che, se per fortuna guadagna 1.500 Euro al mese, dovrà lavorare 1666,6 mesi (più di 128 anni, tredicesima compresa) per arrivare a guadagnare la somma che Benigni, il 29 Novembre 2007, ha portato a casa in due ore e quaranta (15.625 Euro al minuto, dieci mesi e mezzo di lavoro in 60 secondi)?       

Somme spropositate, vergognose, offensive, soprattutto per un alfiere del proletariato e per l’inaccettabile tasso culturale esibito (come dimostreremo)!       

Tutto questo è scandaloso! La nostra epoca, del resto, ci ha resi indifferenti agli scandali, che noi stessi, con i nostri comportamenti, alimentiamo.       

C’è chi dice che Benigni, in ogni caso, fa opera divulgativa, educativa… la risposta più eloquente l’abbiamo rintracciata su You Tube, fra i commenti a uno spezzone della serata del 29/11/07:       

“Tu critichi benigni?? dovresti riempirti il culo di pece e benzina e ficcarti un fiammifero dentro. coglione!!”.       

Un grande risultato didattico. Ne terremo conto al termine della nostra analisi critica…       

(www.youtube.com:80/comment_servlet?all_comments&v=79Vb3ZRQSU8)       

Noi siamo più dalla parte di chi su Il Messaggero ha scritto: “Basta con questi parassiti che prendono compensi milionari rubati con il canone Rai e che ci ammorbano dal teleschermo, BASTA!… (La frase è rimasta per qualche tempo nei link di Google, ma l’articolo è sparito da Internet! Chissà perché…? Infatti non è più “disponibile” alla pagina       

www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=46063&sez=HOME_SPETTACOLO.       

                         Prefazione       

       «Ci sono delle serate televisive magiche, che vorresti non finissero mai, in cui la qualità spazza via il trash [leggi spazzatura; n.d.a.], il vuoto, il nulla. Giovedì sera è stata una di queste. Su Raiuno uno straordinario Roberto Benigni (voto: 9) ha parlato per due ore e mezza, [1] senza mai fermarsi (proprio un’altra “marcia” rispetto ad Adriano Celentano), e deliziando il pubblico con un monologo esilarante legato all’attualità ma anche con la lettura de Il V dell’Inferno, titolo del programma (8)». [2]        

Alcuni commenti nella stessa pagina della Rete:       

–  Esilarante, affascinante Roberto Benigni, impossibile non farsi travolgere dalla sua carica emotiva, dovrebbe fare un corso rivolto agli insegnanti.       

–  Mi associo. Sicuramente, dopo le sue trasmissioni, aumenteranno le vendite e le letture della Divina Commedia. E solo questo, al di là della qualità del suo programma e degli ascolti, sarà un ottimo risultato.       

–  Sublime. È  riuscito a commuoversi (veramente) e a farmi commuovere nella parte finale del V dell’inferno.       

–  FAVOLOSO, DA PREMIO NOBEL! Su quale sito é possibile rivedere lo spettacolo?       

Pensare che il successo di Roberto Benigni sia legato al fatto che l’attore è una “star di regime”, [3] oppure sia frutto dell’improvvisa e sprovveduta sete di cultura degli Italiani, è semplicistico. Benigni è certamente una “star”, una stella dello spettacolo, anche se dobbiamo far notare che nei firmamenti notturni vediamo molte stelle che non esistono! Il piccolo istrione è una stella perché sa apparire; è una stella perché il livello culturale medio dell’uditorio è molto basso e manca spesso di senso critico; è una stella perché ammannisce dal palco (chiedo venia, dal pulpito) un minestrone che mischia ingredienti per i gusti di quasi tutti, un minestrone “sincretico”; al punto che il credente, il miscredente e l’agnostico possono riconoscersi in quello che Benigni “dice non dicendo”, mimetizzando il profano nel sacro e viceversa, con un talento innato che certo non discende dalla dialettica sconnessa, dai farfugliamenti al limite del patologico, dalla lingua da ultimo della classe, dall’approssimativa conoscenza degli argomenti affrontati. Quello di Benigni è l’istinto della “comunicazione”, che si misura dall’efficacia del risultato molto più che dall’oggettiva “bontà” degli strumenti usati. Perché, nel comunicare, buono ed efficace è tutto ciò che permette di conseguire l’obiettivo, non quanto realmente ha valore sul piano della qualità, della moralità, dell’idoneità, del gusto… Aveva già intuito il Machiavelli un concetto del genere, applicandolo alla scienza politica!       

Benigni ha successo, dunque, perché nella sua sincretica zuppa ciascuno può cogliere, e tende a cogliere, ciò che più gli aggrada, isola ed apprezza gli elementi che rispondono alle sue preferenze ed alle sue aspettative, non solo in ragione di quanto si è detto, ma anche per le modalità percettive che caratterizzano la psiche umana e che nella Psicopatologia della vita quotidiana Freud ha ampiamente illustrato. “Salvo chi fa salvo” l’intuizione dell’imboscamento e dell’insidia, e da quella intraprenda un’indagine attenta, a tavolino. [4]       

È doveroso precisare che questo breve saggio nasce da un’esigenza di difesa della cultura, in generale, e del patrimonio letterario italiano, in particolare.       

         Non abbiamo nulla contro Roberto Benigni, che quando non esagera con la sua satira monocromatica, o quando non prende troppo sul serio le sue operazioni “culturali”, ci è del tutto indifferente. Quello che noi non riusciamo più a tollerare è invece il parametro che governa il valore, ormai in ogni settore della nostra vita, e che si lega al profitto. Principio che distorce ogni valutazione, che appiattisce la qualità, che scoraggia la vera creatività, e dunque la vera “arte”, che innalza prodotti vili e ignora prodotti nobili, che attribuisce perfino titoli e riconoscimenti per scopi pubblicitari (come le lauree honoris causā, che presto saranno conferite anche agli analfabeti), che crea in definitiva miti falsi, sui quali lucrare. Noi non riusciamo più a tollerare l’indebita intromissione del primo sprovveduto di turno nel campo delle altrui competenze, sulla base del successo che, a torto o a ragione, egli ha acquisito nel proprio! Alludiamo a calciatori, cantanti, attori, motociclisti, presentatori, intrattenitori, che si improvvisano altro per “diritto divino” (quasi tutti diventano scrittori!), nel culto rigidamente monoteistico di MoneyGod (neologismo anglofono, che vuole richiamare il suono della parola “manigoldo” nell’accezione peggiore del termine, quella del malvagio privo di scrupoli). Come è possibile che a Valentino Rossi venga conferita la Laurea? che altrettanto capiti a Vasco Rossi? che vengano attribuite addirittura sette Lauree a Benigni, in ambiti culturali lontanissimi dalle conoscenze del comico, mentre il “povero” Massimo Cacciari (esempio a caso) deve accontentarsi di un unico titolo onorifico, in Architettura [5] e Umberto Curi viene umiliato nei confini della sua unica Laurea in Filosofia? Sembra ormai che Roberto Benigni sia la massima espressione della cultura italiana: ne abbiamo fatta di strada dai tempi di Leonardo…!       

         La Divina Commedia…       

l’ha scritta Dante o Benigni? Il dubbio diventa lecito… Per tutti il genio è Benigni, che la “recita” (Carmelo Bene aveva già affermato: “Io sono meglio di Dante, lo miglioro”; lo riferisce Benigni stesso in un’intervista, chissà come mai…[6]), anche perché il valore dell’opera veniva ormai messo in discussione: qualcuno cominciava a ipotizzare che fosse fuori luogo continuare ad avere tra i piedi nelle aule scolastiche quel mattone medievale, quel poema superato: era tempo di altre letture, più moderne! (Corriere della Sera, 5 ottobre 1997 [*]). Magari la fatica letteraria di Del Piero, o l’ultimo romanzo dell’ultima penna scoperta dall’ultima Casa Editrice! Bisogna aggiornarsi, no? D’incanto spunta Benigni…       

Tutto cominciò una sera del 2002, nel corso del Festival di Sanremo, allorché “il «compagno» Roberto Benigni per la sua esibizione – fra l’altro, discutibilissima – … per 11.760.000 vecchie lire al minuto, dedicò agli italiani lo spettacolo di una forte presa rugbistica dei testicoli di Pippo Baudo! Bene, vien da dire che se tutto questo è la spettacolarità, onorevole sottosegretario, io mi offro di fare la stessa cosa, con un risparmio che indico sin d’ora del 90 per cento” (Sandro Delmastro Delle Vedove [7]). Per espiare la colpa, il guitto recitò poi, con voce commossa e “commovente”, Vergine Madre, figlia del tuo figlio… Prove tecniche di trasmissione…       

Il successo riportato avviò l’impresa: Tutto Dante era iniziato!       

Magari, come Benigni sostiene, l’idea era già nata qualche tempo addietro, ma quella sera si trasformò in progetto reale: “È nata casualmente, perché io leggevo la Divina Commedia così, per divertimento. Sapevo alcune terzine a memoria. Poi nei periodi fra un film e l’altro [8] ho voluto imparare alcuni canti interi a memoria, così anche solo per il suono, come uno impara una canzone”. [9]       

Il resto l’hanno fatto i mezzi di comunicazione di massa e la crescente schiera di fan, i primi non tanto per abbaglio, quanto per interesse, i secondi acriticamente, per la forza “analogica” della comunicazione del toscano e per il rullo dei tamburi dei primi. Sorprende la tenacia con cui chi ha mitizzato Benigni, o semplicemente lo ritiene “grande”, rimane abbarbicato alla sua convinzione, al punto che, perfino di fronte all’evidenza, ancora tenta giustificazioni.       

Roberto Benigni conosceva dunque qualche terzina: decide di memorizzare due o tre canti con i quali tastare il polso dell’uditorio in qualche Ateneo; poi recita alcuni versi in tv, nella famosa serata sanremese del 2002. Il successo riportato lo convince che può costruire un “affare” con la Divina Commedia. Allora impara qualche altro canto dell’Inferno, quelli più conosciuti e adatti (nulla di speciale per un attore che è abituato a “mandare a memoria” interi copioni), si prepara con superficialità, “per l’interrogazione”, su qualche commento dantesco, e comincia il suo spettacolo. L’idea si rivela subito altamente redditizia, anche per la messa a punto di un certo numero di ritornelli di sicuro effetto (‘sto mondo non ce l’abbiamo in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri figli; abbiamo indifferenza di fronte all’orrore, invece bisogna avere orrore dell’indifferenza; ci son talmente tante persone che si comportano male che uno ‘n più uno ‘n meno non fa differenza: invece fa differenza, anche uno solo fa una differenza enorme; la poesia non sta in chi la scrive ma in chi l’ascolta; Dante non ha scritto la Commedia perché Dio esiste, ma perché Dio esista, ecc. ). Almeno è questo che ci porta a credere il suo livello di conoscenza. Lo spettacolo è stato allestito abbastanza frettolosamente, come dimostrano le lacune di memoria dell’attore, sia per quanto concerne la filastrocca dei versi che per quanto riguarda le note di “esegesi”. In certi casi è evidente che egli ha perfino frainteso, per mancato approfondimento, o per scarsa propensione, i riferimenti di cui fa uso, rinvenuti indirettamente nei testi consultati. La sua preparazione ci risulta improvvisata; non è mai, comunque, il frutto di un’assidua ed assimilata educazione umanistica. Che importa? “Qualsiasi cosa si dice su Dante va sempre bene”… [10] e alla fine c’è chi sostiene che va bene proprio così, che Dante va recuperato nella sua “semplice immediatezza”, che era ora che qualcuno mettesse a tacere le inutili dispute ermeneutiche degli studiosi…  Tanto che perfino gli apprezzamenti del cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, che sottolineano l’interpretazione di Benigni come quella di un grande teologo, infastidiscono! Perché non premierebbero “lo sforzo di chiarezza operato da Benigni”, ma lo castigherebbero, “proiettandolo dentro la pletora dei critici, dei supercritici, degli analisti, dei filologi, dei filosofi e dei teologi, che hanno avuto, ormai da 750 anni, la pretesa di far dire a Dante ciò che loro avrebbero voluto che dicesse”.[11] Di conseguenza Benigni sarebbe ora l’unico, assoluto, incontrastato, depositario della Poesia dantesca! Se avevamo dei dubbi sulla follia della nostra epoca, ora li vediamo diventare certezze.       

                  

A questo punto sarebbe da chiedere a tutti i sostenitori di Benigni che cosa hanno veramente imparato, da lui, di Dante Alighieri. Noi l’abbiamo chiesto a qualcuno: chi risponde, poco o niente riferisce del mondo poetico dantesco, e dice soltanto che si è sentito coinvolto come non gli era mai capitato ai tempi della scuola, che si è commosso, che è rimasto incantato. Molti, troppi, quasi tutti confondono l’emozione che provano guardando e ascoltando Benigni, con la poesia della Divina Commedia, che probabilmente lo stesso attore non ha capito. Molti, troppi, quasi tutti, non si rendono conto che una delle forze che più trascina verso il basso, verso un progressivo scadimento della qualità culturale, dipende oggi dalla manipolazione dei cervelli ad opera di chi conosce le arti del condizionamento e se ne serve per mero scopo di lucro. Se chi ci legge fosse davanti a noi, gli dimostreremmo che è possibile creare sentimenti ed emozioni con il nulla delle parole; che è possibile intenerirsi, eccitarsi, avere paura, per suoni senza significato, purché sorretti da un adeguato uso della voce e del corpo. Del resto se qualcuno, urlando, ci rivolge minacce in lingua giapponese, noi avvertiamo il pericolo anche senza capire una parola di Giapponese: ci bastano il tono minaccioso, il viso stravolto dell’aggressore, i gesti, la sua postura, per spaventarci e spingerci ad eludere il pericolo. Parliamo delle più moderne conoscenze relative alla comunicazione, della scoperta dei diversi piani del linguaggio: il digitale, o verbale (parola), gli analogici, ovvero il paraverbale (qualità della voce, come tono, intonazione, volume…) e il non-verbale (gesti, postura, segnali del contesto…). Chi conosce la Programmazione Neurolinguistica di R. Bandler e J. Grinder, sa bene che il piano verbale è il più debole ai fini dell’efficacia della comunicazione, vale appena il 7% dell’intera forza di trasmissione, mentre il livello paraverbale può vantare il 38% e il non-verbale addirittura il 55%. Vuol dire che quello che uno dice conta molto poco: vale invece il “come lo dice”. Purtroppo!… perché emerge chiaramente che la verità ha una forza modesta quando è gestita da un “cattivo comunicatore”, mentre la falsità può divenire prepotente nelle mani di chi sia capace di suscitare credito. Distinzioni di carattere filosofico a parte, è creduto chi sa farsi credere, qualunque cosa dica. [12]       

A che scopo questa lunga digressione? Per giungere all’evidenza che, nel momento in cui stabiliamo che Benigni sa impadronirsi della scena e diventare credibile, passano in secondo piano la smaccata ostentazione dell’accento e della parlata dialettali, la tachilalia, il farfugliamento conseguente, le alterazioni del flusso delle idee, le sgrammaticature sui piani morfologico, logico e sintattico, la monotonia, la cattiva conoscenza degli argomenti trattati, la ridotta propensione all’esegesi, la tendenza a manipolare le citazioni, [13] la trivialità, la superficialità generale e tutto quello che consegue da queste lacune, e primeggiano le qualità dell’incantatore di serpenti… Con il piccolo particolare che nel regno animale non ci sono soltanto degli ofidi e che qualcuno riesce dunque a sfuggire alla malia!       

Noi non siamo rettili, e non siamo rimasti incantati. Tutt’altro! Siamo nauseati… non tanto per il modo in cui Benigni sfrutta la distrazione (o dabbenaggine?) altrui, ma per quello nel quale tutta una scia di approfittatori gonfia il personaggio, fino a farne un mito e a volerlo “consacrato”.       

Chi nel catalogo dell’insigne Casa Editrice Einaudi cerchi le opere di Pablo Neruda, o di Wisława Szymborska,[14] poco o niente rintraccia, ma trova certamente due “opere” di Ligabue e ben quattro “opere” di Benigni: è il segno dei tempi? o quegli scrittori valgono davvero nulla, oppure la metà, o 1/4, di queste  nuove “stelle” della Letteratura? [15]         

Bisognerebbe educare, piuttosto che creare miti e mode e farne commercio!       

Diventa più chiaro, così, perché questo libretto è un dovere.       

Sarà lapidato?       

Se anche un solo lettore andrà a recuperarlo fra le pietre per coglierne il senso e riconoscerà il valore del nostro lavoro, non avremo speso inutilmente il nostro tempo!       

Amato Maria Bernabei     

Questo e molto altro nel documento allegato (il pensiero e la lingua italiana di Benigni, la trivialità, un esempio di analisi comparata, il XXXIII del Paradiso):      

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Apri e salva: La divulgazione dell’ignoranza 03 Roberto Benigni       

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[1] Forse “due ore e mezzo” sarebbe stato più corretto… Perché mezzo è sostantivo, non aggettivo (cfr. Devoto-Oli). Anche per questo, Benigni trionfa.       

[2] http://realityshow.blogosfere.it/2007/11/benigni-show-su-raiuno-dallattualita-allappassionata-lettura-di-dante-il-capo-dei-capi-riina-dagli-a.html       

[3] http://archiviostorico.corriere.it/2002/marzo/06/Uova_ortaggi_contro_Benigni_Sanremo_co_0_0203065807.shtml       

[4] Un esempio per tutti può dimostrare con chiarezza come sia facile, nelle parole, cogliere ciò che si vuole, non ciò che viene detto. Afferma Benigni a proposito dei peccatori carnali che bestemmiano Dio: “Quando le anime arrivano lì, sanno che quello che vedono le e e e , eh, eternamente sarà così. Noi non abbiamo, adesso lo ripeto, concezione dell’eternità, ma può essere l’incubo più terribile del mondo. Sanno che quello davvero durerà per sem-pree! Bestemmiare la virtù divina vuol dire bestemmiare chi ha ccreato la vitaa, non bestemmiare Dio, ma perché c’è la vita, la vita, che abbiamo solo quella, non è che abbiamo du’ cose, una sola ne abbiamo, quella è la cosa ‘mpressionan”.  Che cosa “coglie” Stefania Guerra? “Si comprende allora l’espressione indignata di Benigni, quando ci esorta a non bestemmiare. ‘Bestemmiare la virtù divina, significa bestemmiare la vita’”. Alcune parole estrapolate vengono usate per imbastire una tesi del tutto personale: dov’è nel passo di Benigni l’indignata esortazione a non bestemmiare? Esortazione che il comico, fra l’altro, non avrebbe avuto il diritto di pronunciare, visto che cinque mesi prima, nel ringraziare i luminari fiorentini che gli conferivano la Laurea honoris causā in Filologia, aveva arricchito d’irriverenti bestemmie il suo discorso di gratitudine [*].       

[5] http://europaconcorsi.com/stories/43277.       

[6] http://www.unbenignidanobel.it/       

[7] http://english.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenografici/Sed321/s030.htm       

[8] Noi siamo convinti che i film che coincidono con l’idea di creare uno spettacolo itinerante sulla Divina Commedia sono datati 1997 (La vita è bella) e 2002 (Pinocchio), ai quali si può aggiungere La tigre e la neve, del 2005. Il 2002 è l’anno della “serata di San Remo”, quella che noi riteniamo il test di gradimento pensato da Benigni prima di tuffarsi nell’impresa. L’avvio dell’“ingestione mnemonica” durante l’intervallo fra i primi due film aveva portato, nel 1999, alle “prove tecniche” negli atenei italiani (Normale di Pisa, La Sapienza, Padova, Bologna). L’exploit nel 2006, in Santa Croce. La passione per Dante è tutta qua: un affare fiutato.       

[9] http://www.unbenignidanobel.it/       

[10] Lo affermò Benigni nella sua tournée universitaria. [ds qualsiasi cosa] (“ds” sta per “documento sonoro”).       

[11] http://2.andreatornielli.it/?p=153          

 [12] Chi volesse approfondire le conoscenze sull’argomento cui si è accennato, può leggere libri di divulgazione, come quello di Fabrizio Pirovano, La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, Milano, 2001, oppure direttamente i volumi più tecnici e impegnativi di R. Bandler e J. Grinder, editi da Astrolabio o da NLP Italy.       

[13] Un caso per tutti: Ama e fa’ ciò che vuoi, ripete in giro per l’Italia Benigni, riferendo una delle frasi più note di S. Agostino (Omelia predicata il 20 Aprile del 407: http://www.santagostino.info/pdf/ama_e_fa_cio_che_vuoi.pdf). Chi ascolta pensa che il Santo abbia istigato alla lussuria! Non si possono fare citazioni “senza onestà intellettuale” o senza cognizione di causa. Quello che S. Agostino vuole dire è che, quando le nostre azioni sono ispirate dall’Amore, quello cristianamente inteso, che è soprattutto amore per Dio, non possiamo agire male: chi ama, qualunque cosa faccia, in forza del suo amore, la farà bene: la sua azione sarà dunque buona; al contrario chi non ama. Chi potrebbe ritenere “negativa” la gentilezza? Eppure se questa è ispirata da cattive intenzioni, diventa male! Quando si è ispirati dall’amore, si può anche essere sgarbati, perché l’agire non potrà essere che “a fin di bene”.       

[14] La più importante poetessa polacca vivente, Premio Nobel per la Letteratura nel 1996: un nome scelto a caso tra i letterati illustri che non figurano nel catalogo Einaudi, che ospita invece alcune indecenti “mezze cartucce”.       

[15] http://www.einaudi.it/einaudi/ita/catalogo/catalogo.jsp; cfr. le Conclusioni, nella prima parte del nostro saggio [sl].

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